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Trasformare le difficoltà in arte e pedagogia: la storia di Letizia Breda

  • Immagine del redattore: Amici Invisibili
    Amici Invisibili
  • 8 nov
  • Tempo di lettura: 6 min

di Giulia Catricalà



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Di libri se ne scrivono tanti, per le ragioni più disparate. Ma quello di Breda mi ha colpito in modo particolare. Nonostante la ricchezza delle illustrazioni e l’accattivante stile fumettistico, è un libro difficile: non da leggere, né da apprezzare, ma da concepire.

La sua complessità non risiede nella forma, ma nel percorso che lo ha generato: nell’origine empirica, nel vissuto doloroso trasformato in atto di cura collettiva. 

Letizia Breda, pedagogista e musicoterapeuta, ha scelto di mettere a nudo la propria esperienza, offrendola con generosità a un fine prezioso: educare alla paura. O meglio, liberare gli altri dalla paura grazie alla conoscenza. 

Nel suo libro L’Astronave dei Rumori, l’autrice trasforma la paura della risonanza magnetica, la malattia e l’incertezza in strumenti pedagogici e arte, senza farsi intimorire da un contesto in cui la malattia cronica è ancora – a tutti gli effetti – un tabù.


Letizia, ti va di raccontarci chi sei oggi anche attraverso il tuo percorso medico/sanitario?


Mi chiamo Letizia, ho 27 anni e sono una pedagogista e musicoterapeuta. Questo è ciò che sono a livello istituzionale a seguito di tanti anni di studio e lavoro, ma quest’anno mi sono sentita più fragile che mai. Lavoro come insegnante di pianoforte, pedagogista, musicoterapeuta, aiuto i ragazzi nello studio, svolgo corsi di formazione per insegnanti e genitori, osservatrice nelle scuole, sono molto attiva con il volontariato in parrocchia dove svolgo il ruolo di referente per la crescita educativa… ma all’improvviso tutto questo è svanito perché ho dovuto iniziare a prendermi cura di Me prima di pensare agli altri. Non è stato semplice, perché da aiutante ad aiutata non è qualcosa che si riesce ad accettare facilmente. Fortunatamente, dopo mesi di lavoro su me stessa, mi trovo ora più forte di prima e ancora più desiderosa di continuare il mio lavoro con una consapevolezza e un senso della vita notevolmente maggiori. 


E adesso parlaci del libro, hai trasformato l’esperienza in un tesoro da condividere con gli altri, cosa ti aspetti da questa pubblicazione?


L’Astronave dei Rumori rappresenta la mia rinascita. Lavorare a questo progetto è ciò che mi ha letteralmente permesso di rialzarmi in piedi durante i mesi difficili che ho trascorso. Per cui è un libro che porta un messaggio di speranza, porta la mia storia ma vuole anche aiutare gli altri a superare la paura, in particolar modo, per la risonanza magnetica. Non mi aspetto nulla, proprio perché è nato da un momento in cui io ero nel vuoto e per questo desidero che possa viaggiare nel modo più naturale possibile. Il mio più grande sogno sarebbe quello di farlo arrivare negli ospedali, non solo per i bambini, ma anche nei reparti per adulti e poterlo magari presentare accompagnato da un concerto di pianoforte, mia altra grande passione. Desidero solo che possa raggiungere gli altri per aiutarli come ha aiutato me.


Hai descritto la creatività come filo conduttore della tua vita: in che modo questa dote ti ha accompagnata nei momenti più difficili?


La creatività è la mia più grande dote, talmente grande che spesso devo fermarmi per non farmi consumare da essa e dalle mille idee che mi arrivano in testa. Anche a scuola sono sempre stata una che usciva dagli schemi. Se si guardano i miei quaderni di musica, per esempio, si vede che non studiavo nulla di teoria, ma riempivo le pagine di scarabocchi, note, suoni e invenzioni. Con il tempo ho imparato ad educare questa passione incanalandola nel mio lavoro, nello studio e nel tempo libero. La massima espressione della creatività ce l’ho nella musica e nel pianoforte. Non mi definisco una compositrice ma piuttosto una musicista creativa perché se mi viene chiesto di comporre a comando non riesco a far uscire una nota mentre se dietro c’è un Senso, allora la musica e l’arte fluisce senza troppi pensieri. La creatività mi ha quindi aiutata a metabolizzare tutti i momenti importanti della mia vita e i miei brani ne sono la prova. Pensieri, infatti, nasce dopo la mia maturazione musicale, Girasoli a seguito della diagnosi di Endometriosi e anche quest’anno, dopo il bruttissimo ricovero che ho affrontato, ho composto un brano che spero di poter pubblicare presto. Creare è il modo che ho per comprendere e accettare ciò che mi succede, trasformandolo in contenuti di senso che possano aiutare e sostenere gli altri. 


Dalla tua testimonianza emerge una storia di grande sofferenza ma anche di resilienza e fede: come si impara a convivere con una condizione cronica e rara senza perdere fiducia?


Questa domanda è difficile… come si fa?... Si sceglie di farlo e basta. Quest’anno oltre all’Astronave dei Rumori sto tenendo anche un diario personale che magari prima o poi pubblicherò. Più volte ritorna la domanda: “perché io? Cosa ho che non va?”.

La malattia fa parte di me da quando sono piccola, perché ho iniziato a visitare gli ospedali a 11 anni per motivi disparati, uscendo sempre con la frase: “sei una ragazza sanissima ma non sappiamo perché ti sia successo questo”. In totale ho vissuto 5 esperienze con malattie diverse e ogni volta era come se aggiungessi un sassolino allo zaino che mi porto sulle spalle. Quest’anno ho provato più volte il rigetto verso la mia ultima diagnosi, neurite ottica atipica immunomediata, dicendomi di non volerla, ma non posso farci nulla: quel sasso nella borsa non lo posso togliere. Così ho imparato che, se non posso togliere il carico, posso sicuramente apprendere a dosarne il peso per continuare a camminare. Per cui come si fa? Si fa. Si cammina, un giorno alla volta, desiderando sempre il meglio per sé stessi, smettendo di ragionare in “mesi e anni” ma vivendo alla giornata, godendo di quello che oggi si è riusciti o non si è riusciti a fare e partire sempre da lì. È un percorso di accettazione lungo, ma alla fine ti aiuta ad arrivare alla conclusione che è inutile domandarsi il perché delle cose, ma a camminare senza farci troppo caso… perché ora, finalmente, sento che sono tornata ad essere Io e che la malattia è solo una piccola parte di me che ho appreso ad amare, ma che metto in panchina quando e come voglio io. Essenziali in questo percorso risultano le terapie, io mi sono fatta aiutare da una pedagogista, uno psicoterapeuta e da una agopuntrice, circondarsi di Belle persone che ti vogliano realmente bene, nutrirsi di Buone attività che ti facciano sentire bene e, se ci si crede, confidare in Dio… perché io grazie alla Fede, alla mia parrocchia e alla mia comunità sono riuscita a non sprofondare. 


Il libro ha anche una parte psico-pedagogica dedicata agli adulti. Cosa speri che genitori, insegnanti e operatori sanitari possano trarre da questa lettura?


Inizialmente L’astronave dei rumori non voleva diventare un libro, ma un mio semplicissimo fumetto. Parlando con medici e infermieri che mi hanno ampiamente consigliato di pubblicare il lavoro, però, ho così deciso di studiare l’argomento dal punto di vista pedagogico, attingendo ai miei studi ed esperienze. So bene di non aver “inventato l’acqua calda” o scritto nulla di particolarmente innovativo, ma ho pensato che il manuale introduttivo possa trasformarsi in un “aiutante pronto all’uso” che, se mai dovesse capitare, è lì facile e veloce da aprire, capace di darti anche solo una parola di conforto. La paura per la risonanza è veramente molta, soprattutto negli adulti, e la parte introduttiva è quindi per tutti loro che, leggendo gli spunti, possono interiorizzarli e provarli sulla propria pelle in modo semplice e spontaneo.


Il tuo racconto sembra voler dire: “non sei solo, anche io ci sono passata”. Quanto è importante secondo te condividere quelle che spesso appaiono come “fragilità” per trasformarle in forza collettiva? 


Parlare delle proprie malattie croniche o autoimmuni è sempre più un tabù.

Viviamo nell’epoca della frenesia, del progresso ma, soprattutto, della performance; motivo per cui le cose “malate” o che non “funzionano” vengono cancellate o, ancora peggio, messe in sordina. Sì, perché al giorno d’oggi, che è comunque contraddistinto da un aumento esponenziale delle malattie, alle persone viene chiesto di indossare il miglior sorriso e i più bei vestiti per “performare” e far vedere che va tutto bene. Succede soprattutto sul lavoro, dove sempre più persone devono fingere o nascondere la propria malattia per paura di giudizi o addirittura licenziamenti.

Personalmente ritengo che questo aspetto sia aberrante. Anche io ho dovuto fare i conti con il: “mi espongo o non mi espongo?” soprattutto sui social per paura del giudizio o di ripercussioni sul piano lavorativo, ma ho deciso di continuare a raccontare la mia storia attraverso la creatività perché, mentre ero io nel baratro, sentire la storia positiva di gente come me che ce l’aveva fatta mi ha dato speranza e forza.

Se queste persone non avessero messo quel post, quella storia, quell’hashtag… io non avrei mai trovato qualcuno pronto a darmi realmente speranza. Nel mio mondo ideale vorrei che ai colloqui di lavoro, per esempio, non valutasse più il Curriculum professionale ma il vero Curriculum Vitae, fatto cioè delle grandi sfide di vita che una persona ha dovuto affrontare. Solo dichiarando e mostrando la propria fragilità è possibile ricostruire una società pensante ed empatica.


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