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Dai social alla realtà: il racconto di Sabrina Vitale, @invisible_sabrina, tra attivismo e resistenza

  • Immagine del redattore: Amici Invisibili
    Amici Invisibili
  • 28 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 11 lug

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Chi è “@invisible_sabrina” e come hai scelto questo nome per il tuo profilo social?


Il nickname @invisible_sabrina, che utilizzo sulle principali piattaforme social sulle quali sono presente, rappresenta una parte importante della mia vita da giovane donna, studentessa universitaria e attivista di 24 anni che abita in un piccolo paesino della provincia di Caserta.

Questo nome è stato scelto in modo del tutto spontaneo ma, al contempo, con la necessità di trasmettere un messaggio molto chiaro e potente: il mio desiderio è quello di diventare, gradualmente, portavoce delle persone che convivono (come me) con malattie croniche invisibili e che, di conseguenza, quotidianamente affrontano l’indifferenza e il costante giudizio da parte di una società che non ha ancora compreso a pieno che non sempre le malattie sono visibili ai propri occhi.


Come pensi che l’attivismo online su malattie croniche invisibili ed educazione sessuo-affettiva possa aiutare?


Nonostante io sia perfettamente consapevole che, ad oggi, c’è la necessità di introdurre l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado per consentire a studenti e studentesse di accedere alla disciplina con un approccio scientifico ed inclusivo, so anche quanto questo processo sarà dilungato dallo scontro con le istituzioni religiose e politiche.


Alla luce di questa considerazione, ritengo che la divulgazione online possa avere un impatto diretto e positivo su tuttə i giovanə che avvertono la necessità di ricevere un’educazione di questo tipo ma che non detengono punti di riferimento ai quali rivolgersi.

Dal punto di vista delle malattie croniche invisibili, invece, sono fortemente convinta che l’attivismo e la divulgazione online siano strumenti essenziali per la conoscenza di quest’ultime e per sensibilizzare la comunità ad una maggiore comprensione ed empatia su un tema davvero poco trattato e considerato.


Sul tuo profilo Instagram condividi il percorso con ipertono pelvico, vulvodinia, adenomiosi e endometriosi. Cosa ti ha spinta a raccontare pubblicamente queste esperienze?


Ho cominciato a raccontare sui social la mia storia di diagnosi e convivenza con ipertono del pavimento pelvico, vulvodinia, adenomiosi ed endometriosi a partire da Ottobre dello scorso anno. Di fatto, il mio è un progetto abbastanza recente ma che, fortunatamente, sta conseguendo un’espansione davvero notevole.

Tutto ciò dipende sicuramente dalla volontà personale di diffondere maggiore informazione ma anche dalla curiosità crescente delle persone di approfondire il tema in questione.


Ho avvertito la necessità di raccontare pubblicamente la mia storia in primis perché ho sentito il profondo bisogno di sfogare il mio dolore e di essere vista dagli altrə; successivamente, però, il mio obiettivo primario è divenuto quello di aiutare altre persone come me ad ottenere una diagnosi o semplicemente a sentirsi meno sole.


Che tipo di reazioni ricevi da chi ti segue? In che modo il confronto online ti sostiene o, al contrario, ti sfida?


Sono lieta di poter affermare che, nel corso dei mesi, le reazioni che ho riscontrato principalmente sono state di affetto, stima, sostegno, curiosità e confronto costruttivo. Non avrei mai immaginato che un giorno sarei stata considerata come una fonte d’ispirazione da parte degli altrə, e ammetto che questo aspetto mi dà la carica per continuare a portare avanti questo piccolo grande progetto.


Con la crescita dei follower, però, sono comparse anche reazioni sempre più negative: di recente, sfortunatamente, sto combattendo contro l’ignoranza e la cattiveria delle persone che cercano di sfruttare la mia condizione di salute per deridermi o offendermi.

A tal proposito, è importante specificare che le mie malattie sono fortemente connesse al tabù, in quanto provocano (tra le tante cose) dolore mestruale invalidante, dolore genitale e dolore ai rapporti sessuali. Di conseguenza, nel momento in cui una donna cerca di parlare apertamente di questi argomento tende quasi sempre a ricevere commenti sessisti e misogini. Ciononostante, non smetterò mai di parlarne perché c’è grande necessità di farlo. 


Quali progetti stai costruendo ora, a livello personale e professionale? Vuoi portare la tua voce oltre i social?


A livello personale c’è indubbiamente la volontà di terminare il mio percorso di studi universitario, senza però tralasciare le attività che sto conducendo sui social.


In realtà, ricollegandomi alla seconda domanda, posso sottolineare con grande orgoglio che l’attivismo e la divulgazione da me condotti sono già fuoriusciti dal mondo online. Già da diverso tempo, infatti, oltre ai miei canali social, alle collaborazioni e ai podcast online partecipo anche ad eventi fisici nei quali racconto la mia storia. Il contatto visivo con le persone è di gran lunga più emozionante, perché posso scrutare nello sguardo altrui l’interesse dimostrato da nuove conoscenze che, spesso e volentieri, decidono poi di seguirmi anche online.


Sono del parere, non a caso, che la sfera offline sia decisamente più impattante per chi vuole dedicarsi a qualsiasi tipologia di attivismo.


C’è un messaggio centrale che vuoi trasmettere a chi soffre di malattie invisibili e magari non ha ancora trovato uno spazio in cui parlare della sua esperienza?


Il messaggio che voglio trasmettere è quello di non smettere di credere mai in sé stessə, anche nei periodi di smarrimento o di sofferenza fisica e psicologica, e di non dimenticare la propria unicità. In più, il mio invito è quello di alimentare il dialogo sulle malattie croniche invisibili con parenti, amici, conoscenze per fare sì che un giorno questo tema non sia più considerato come secondario.

Sono consapevole del fatto che non sia semplice, e lo stesso vale per l’individuazione di una comunità nella quale sentirsi accoltə.


Tuttavia, bisogna evidenziare il fatto che esistono tantissime realtà che permettono di aprirsi sulla propria esperienza, come la vostra di Amici Invisibili APS: io stessa, inizialmente, ho ritrovato in voi una comunità alla quale appartenere.  Non dobbiamo dimenticare anche un’ipotesi possibile: quando non riusciamo a trovare un luogo al quale appartenere, possiamo diventare noi stessə quel luogo. È così che per me è cominciato tutto.

 
 
 

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