Anna Maisetti: il mio corpo racconta moda, linfedema e rinascita
- Amici Invisibili

- 5 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 11 lug

Ti ricordi il giorno della diagnosi?
Sì, lo ricordo nitidamente. Nel mio caso, il linfedema è arrivato come conseguenza secondaria a un'altra diagnosi che mi ha colpita molto presto: il cancro della pelle, ricevuto a 22 anni.
Dopo diversi accertamenti, è stato rimosso il linfonodo sentinella e, risultando positivo, il protocollo oncologico prevedeva la rimozione completa dei linfonodi della zona interessata.
Il linfedema è una patologia cronica che comporta un accumulo di liquido nei tessuti a causa di un’alterazione del sistema linfatico. Può essere primario (di origine congenita) o secondario, come nel mio caso, a seguito di interventi chirurgici o trattamenti oncologici.
Sapevo che c’era un’alta probabilità che si presentasse, ma vederne i segni subito, nei primi giorni post-operatori, è stato un colpo. Uno dei primi sintomi è stata la pressione delle scarpe. Amavo i mocassini e i tacchi, ma mi sono resa conto subito che la rigidità e l’asimmetria delle mie gambe rendevano quelle scarpe impraticabili, oltre che pericolose. Anche il bordo degli elastici dei calzini diventava un problema: li tagliavo tutti perché mi davano una sensazione di laccio stretto alla caviglia. È iniziata così una nuova relazione con il mio corpo, fatta di osservazione continua, di ascolto e adattamento.
Com’è nata l’idea di “stile_compresso”?
È nata da un bisogno profondo e da una constatazione dolorosa: pensavo che esistessero altre persone con il linfedema nel mondo, ma probabilmente, come me, si stavano nascondendo. Per otto lunghi anni ho provato vergogna per le mie gambe asimmetriche, per le calze mediche che mi sembravano inguardabili, per quel corpo che non riconoscevo più. E così, probabilmente, anche altri stavano in silenzio, cercando di sparire.
La svolta è arrivata con la prima condivisione pubblica di una mia foto, in cui mostravo solo le gambe. È stato un gesto semplice, ma per me rivoluzionario. Da quel momento, giorno dopo giorno, tramite hashtag e social, ho iniziato a ricevere messaggi, contatti, connessioni. Ricordo in particolare Pernille, una paziente danese residente in Italia, che come me stava cercando di trasformare il proprio percorso in uno spazio di consapevolezza e bellezza. Anche lei condivideva immagini, racconti e riflessioni sul linfedema, con uno sguardo estetico e accogliente. Con lei ho capito che non ero più sola.
Dal 2018, “stile_compresso” è diventato un punto di incontro. Ogni giorno nuove persone si uniscono, condividono, si raccontano. E soprattutto trovano, dentro quella narrazione comune, il coraggio di non nascondersi più.
C’è stato un momento in cui hai pensato: “ora scelgo io come raccontarmi”?
Sì, e non è stato solo un momento interiore, ma una vera e propria azione. Ho deciso di attivarmi. Ho cercato aziende che avessero una visione diversa degli ausili e della compressione: una visione seria, utile, ma anche colorata, creativa, inclusiva. E così ho iniziato ad abbinare le calze compressive ad abiti, accessori, scarpe più funzionali ma non meno stilose. Ho voluto riappropriarmi del mio stile, nonostante questa condizione.
Nel frattempo ho iniziato a partecipare a congressi medici, a eventi di empowerment femminile, a scrivere articoli, fare rete, condividere la mia esperienza. Ho scritto un libro, "Il linfedema dopo il cancro", per raccontare questo percorso che unisce due diagnosi e una rinascita. Ho realizzato video con pazienti internazionali, ognuno con il proprio accento, la propria storia, il proprio corpo. Perché nessuno dovrebbe sentirsi solo dentro una diagnosi.
Raccontarmi è diventato un atto di resistenza, di creatività, di cura. E, ogni giorno, è anche un atto d’amore.
Cos’è per te il linfedema oggi?
Il linfedema oggi è una parte della mia quotidianità. Non lo combatto più, ci convivo. È una presenza costante che mi costringe ad ascoltarmi, a rispettare i miei limiti, a fare spazio. All’inizio era un nemico invisibile e silenzioso, poi è diventato qualcosa con cui ho imparato a dialogare. È un filtro attraverso cui guardo il mio corpo, ma anche il mondo.
Mi ha tolto alcune cose, è vero, ma me ne ha restituite molte altre: un senso più profondo di identità, relazioni sincere, uno scopo nuovo, e una forza che non sapevo di avere.
Se ci fosse una bacchetta magica ovviamente vorrei guarire ma al momento pur avendo fiducia nella ricerca cerco di curarlo con tanta costanza e pazienza.
Cosa diresti alla te stessa appena diagnosticata?
Le direi di non scappare. Che il dolore, la paura e la vergogna hanno tutto il diritto di esistere, ma che non definiscono il suo valore. Le direi che andrà tutto in un altro modo rispetto a quello che aveva immaginato, ma che non sarà per forza peggio.
Che dentro la trasformazione c’è anche una possibilità.
Le direi che non è sola, anche se all’inizio lo sembrerà. Che il suo corpo cambierà, ma potrà ancora parlare, danzare, camminare con stile e dignità. E che sì, troverà il suo modo di raccontarsi. Anche se oggi sembra impossibile.
Un sogno che sembrava impossibile... e invece si è realizzato?
Prima della diagnosi, stavo muovendo i primi passi nel mondo della moda. Avevo collaborazioni con agenzie, facevo casting, scatti, iniziavo a costruire un sogno. Con la diagnosi tutto si è fermato bruscamente. Non sapevo nemmeno come spiegare a chi lavorava con me che non potevo più presentarmi: avevo una gamba gonfia, una calza che odiavo e scarpe che non potevo più indossare.
Ho abbandonato tutto. E poi, incredibilmente, sono stata cercata. Dopo l’inizio delle mie condivisioni di stile e consapevolezza, alcune agenzie e brand con una visione inclusiva mi hanno contattata: volevano me, anche per la mia gamba. Anzi, volevano proprio quel messaggio. Quel corpo che raccontava una storia vera.
Sono diventata la prima content creator e modella italiana con linfedema, e questa cosa, ancora oggi, mi sembra incredibile. Non l’ho fatto per essere la prima, ma per non essere l’unica. Per aprire uno spazio dove altri possano riconoscersi, sentirsi legittimati, visibili.
Il primo passo è stato la Body Positivity Catwalk in Piazza Duomo a Milano nel 2019, dove io rappresentavo il linfedema secondario e la mia amica Pernille quello primario. Nel mentre ho avuto tante esperienze importanti e sono arrivata fino alla prima sfilata inclusiva ufficiale della Milano Fashion Week: tra le 15 modelle unconventional, c’ero anch’io. E oggi porto avanti questa doppia vita – modella e attivista – con grande gratitudine. Per me, e per tutte le persone che verranno dopo.
Cosa diresti a chi ha ricevuto la diagnosi da poco?
Direi che è normale sentirsi disorientati, arrabbiati, soli. Ma non bisogna restare in quel buio troppo a lungo. Cercate informazioni corrette, ma anche ascolto, connessioni, esempi, associazioni di pazienti. Non si tratta solo del corpo, ma anche della mente: chiedere aiuto psicologico è fondamentale. Io stessa per anni ho creduto di potercela fare da sola, ma a un certo punto ho capito che serviva uno spazio sicuro, uno specialista che mi aiutasse a elaborare, ad accettare, a ricostruire.
Prendersi cura di sé significa anche questo: chiedere aiuto quando serve.
E ricordarsi che si può ancora vivere, creare, amare, progettare.




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